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L’esplorazione botanica
nei paesi orientali

di Loredana Bertolami

 

Oggi, gentili lettori, permettetemi di raccontarvi qualcosa sulla lunga e travagliata storia delle ricerche botaniche in oriente. Le più antiche e frammentarie notizie ci riportano che all’epoca dei Romani il pesco e il gelso giunsero dall’oriente, il noce dal Caucaso e il fico dalla Persia, ma non sono noti i nomi degli esploratori che tante belle specie hanno importato.

In generale i numerosi viaggi d’esplorazione botanica hanno trovato nei primi tempi numerosi ostacoli in tutto l’oriente, poiché la Cina e il Giappone impedivano l’ingresso nelle loro terre degli stranieri.

Il primo viaggio di un certo valore fu quello di Marco Polo nel XIII secolo, che riportò le prime notizie sulla flora cinese, ma dopo quel viaggio per circa trecento anni la Cina si chiuse completamente, rifiutando il minimo scambio con il mondo occidentale, impaziente invece d’intraprendere affari commerciali. Bisognerà attendere il XVIII secolo per far sì che i ricercatori possano ammirare gli splendori della flora cinese, curata da oltre cinquemila anni dagli imperatori, che amavano collezionare svariate essenze, come peonie, crisantemi e camelie. Enormi estensioni di terreno, infatti, erano impegnate per la coltivazione di quelle specie che mostravano caratteristiche specifiche, mentre il resto era eliminato completamente, tanto che talvolta si è in dubbio nel parlare di specie vegetali cinesi spontanee.

Molte delle notizie sulle piante si devono ai medici imbarcati sulle navi della flotta della Compagnia delle Indie, come l’inglese John Cunningham, che durante le brevi soste nei porti cinesi riuscì a reperire per l’importazione, o solamente a disegnare alcuni esemplari prodotti dai vivaisti locali.

I francesi, invece, s’introdussero in Oriente più facilmente tramite missionari, molto ricercati per la loro abilità nella soffiatura del vetro e nella costruzione di orologi e altri macchinari. In particolare si ricorda Padre Pierre d'Incarville che recatosi a Pechino nel 1742 vi rimase per quindici anni. Egli raccolse numerose piante che inviò al maggiore botanico francese, Bernard de Jussieu, creatore dei giardini reali e del Jardin des Plantes di Parigi. Il missionario riuscì, in quegli anni fecondi, ad introdurre in Europa numerose specie fra cui Ailantus altissima, Albizzia julibrissin, Thuja orientalis, Juniperus chinensis e Koelreuteria paniculala..

I rapporti con l’imperatore cinese, tuttavia, non erano certo facili, tant’è che molto presto le frontiere si chiusero nuovamente, rendendo difficile l'importazione di oggetti e piante cinesi, molto ricercate per la decorazione degli interni e per i giardini di cui tipico esempio è dato dalla pagoda costruita nel 1761 nei Giardini di Kew, il più grande e stupendo Orto Botanico di Londra.

Anche il popolo giapponese si mostrò altrettanto sdegnoso di aprirsi agli stranieri, solo agli olandesi fu concesso di mantenere qualche rapporto commerciale, anche se accettarono di restare confinati in un'isola nel porto di Nagasaki, dalla quale uscivano una volta l’anno per recarsi a Yedo, l’allora Tokio, per portare doni all'imperatore.

Si deve ad Engelbert Kaempfer, medico tedesco al servizio della Compagnia Olandese delle Indie, la prima documentazione sugli alberi giapponesi. Il ricercatore nei suoi due viaggi a Tokio (nel 1690 e nel 1691), descrisse soprattutto la presenza di un albero favoloso, il Ginkgo biloba (originario della Cina, ma introdotto in Giappone in tempi remoti), e si deve sempre a lui l’invio in Olanda di stupendi aceri, e anche dei caratteristici e ornamentali ciliegi da fiore. Purtroppo anche Kaempfer, ben presto, dovette abbandonare il Giappone perché accusato di spionaggio, dopo di lui nessun altro botanico europeo ebbe più la possibilità di visitare il Giappone per oltre ottant'anni.

Continueremo a parlare la prossima settimana di questi ricercatori pionieri, alcuni noti, altri sconosciuti che ringraziamo per aver portato in Europa quelle splendide specie vegetali che abbelliscono i nostri giardini.

 

 

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